Un giorno del 1180 a Sant'Elena di Vallesina
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Un giorno del 1180 a Sant'Elena di Vallesina


Quanto fu importante nella storia d’Italia il monachesimo medievale di stampo benedettino? Tanto, si può rispondere, e non solo per l’altissima spiritualità, ma anche per il fattivo lavoro, intellettuale e materiale, in un periodo di grande pericolo e difficoltà. Correvano infatti tempi poveri, con popolazioni di scarso numero e sparse, continuamente impegnate a difendersi, e con città chiuse tra le mura. Pochi e ripetitivi erano i punti fermi quotidiani: l’agricoltura, l’allevamento, l’artigianato locale, le strade o vie verso i centri maggiori e minori o i poderi e le ville, il commercio e le rotte insicure, i beni e i campi, le case, i castelli e le chiese.
Sono questi anche i ripetitivi soggetti-oggetti di decine di migliaia di atti notarili conservati negli archivi pubblici. Lo sono pure, senza eccezione, quelli di una interessante carta del Diplomatico dell’Archivio di Stato di Firenze, qualificata dal regesto relativo come copia. È ancora ben leggibile dopo più di otto secoli. Riguarda personaggi del medioevo marchigiano e toscano legati ai religiosi benedettini camaldolesi.
Nel luglio 1180, dunque, regnante Federico imperatore (il Barbarossa), si radunarono davanti ad un negoziatore, al notaio e a vari testimoni, un gruppo di monaci del cenobio di Sant’Elena di Vallesina vicino a Iesi (Ancona) – dominus Guglielmo priore, dominus Guarnieri preposto e dominus Marco monaco – ed espressero il consenso di tutti i monaci, canonici e conversi, per un affare da concludere quel giorno.
I patroni laici del monastero erano pure essi presenti: tali Oratore di Tebaldo, per sé e i suoi fratelli, Bernardo di Suppone, Savino di Attone, Oderisi di Oderisi, Matteo di Armagno, Rainaldo di Ramondo e Matteo di Trasmundo.
“Noi tutti”, dice l’atto. E tutti quanti insieme, di comune accordo, fecero rogare la donazione, la concessione e la consegna in perpetuo di Sant’Elena al priore del monastero di San Salvatore di Camaldoli, dominus Rodolfo, e ai suoi successori. Naturalmente erano comprese le possessioni sulle quali il monastero aveva diritto e azione: libri, paramenti, campane, muri e celle, chiese e con tutti i tesori della chiesa, castelli, ville e possedimenti, vigne, prati e pascoli con acque, mulini, acquedotti e alberi fruttiferi e infruttiferi ubicati nei comitati (contee) di Camerino, Senigallia, Iesi e “Asimani” [sic, forse Osimo].


Tale territorio era così confinato: “a primo latere usus possessionis latus maris; ii latere flum(in)e Sasani; iii latere alpis montium; iiii latere flum. Mossoni perveniente in primo lato infra ista latera omnia iura et actiones ...”.
Ovvero i suoi limiti erano il mare, il fiume Cesano che oggi si getta nell’Adriatico presso la località omonima a sud di Senigallia, i monti dell’Alpe (Appennino) e il fiume Musone che sfocia nell’Adriatico tra Numana (Ancona) e Porto Recanati (Macerata).
Tale distretto, di una certa ampiezza, forse ricalcava confini di tempi più lontani, quando con vivevano nella Penisola bizantini e longobardi e il Cesano divideva l’Esarcato di Ravenna dal ducato di Spoleto (VIII secolo). Ed erano stati ripresi all’epoca della fondazione-dote del monastero, avvenuta per opera di San Romualdo nel 1009 o 1010.
Né allora fu secondaria la sua posizione, essendo posto su una via che andava dal mare verso Perugia e al nord Italia attraverso gli Appennini. Proprio nel 1180 la donazione a Camaldoli dovette rafforzarne i contatti con la Toscana. Un un suo peso però ebbe anche il fatto, all’incontro, dell’abate Rodolfo che fu nominato vescovo di Ancona il mese successivo (agosto).

Sempre nel 1180 sono dichiarate le finalità dell’esistenza di Sant’Elena: i libri, custoditi, forse copiati e tramandati, i tesori della chiesa e la cura delle possessioni terriere.
Appare dalla carta anche una caratteristica particolare in essere dalla sua origine: una specie di accordo alla pari tra i religiosi e i patroni-protettori dei quali sono ricordati i discendenti. Tale uguaglianza si ebbe cura di rammentarla una seconda volta quando si ammonì di non sottoporre “neque villas neque possessiones” a alcun duca, marchese, conte, “procero” (uomo altolocato), estranea persona o altra chiesa senza il consenso di tutti o della maggior parte di essi.
Infine, significativamente, uno dopo l’altro, sono riportati i nomi dei monaci che “hac carta rogavimus”: dominus Guglielmo priore, e dominus Guarnieri proposito, dominus Marco e dominus Mingo, e i patroni “ut puta” (= come, per esempio) Oratore per sé e i suo fratelli, Bernardo e gli altri.
Intervennero poi come testimoni, a sottolinearne l’importanza, un altro buon numero di monaci, preti e laici di varia provenienza:

dominus Ufredo abate di S. Apollinare [in Classe, Ravenna], di certo il più prestigioso del gruppo dei camaldolesi
dominus Martino abate di S. Giovanni [forse Pratovecchio]
dominus Giso priore di S. Maria [forse in Appennino o in Campo (Fabriano) o di Portonovo (Ancona) o dell’Acquarella (Fabriano)
dominus Alberto priore dell’Eremo [forse San Salvatore di Valdicastro (Ancona), dove morì San Romualdo nel 1027]
dominus Egidio priore di S. “Ieorgii” [Pianello Vallesina oppure, allargando molto l’orizzonte, il noto Bardolino del Garda]
dominus Bonus
dominus Giovanni di S. Ansuino [S. Ansovino di Avacelli, Arcevia (Ancona)]
dominus Ugo
– prete Stefano
– prete Albrico
– Tebaldo Lidani
– Paganello da Rosora [piccolo centro nelle vicinanze]
– Atto di Margalotto.
Nè mancarono dei testimoni estranei all’ambiente:
“Ego” Pietro d’Iso e Iso figlio suo, Gozo di Grimaldo e “Bonus infans” (non un bambino, ma un certo Boninfante), Calgia e più altri uomini.
Infine si ricorda il negoziatore e il notaio:
“Mons vocatus Causidicus fideliter hoc negotium tractavit ed ad bonum effectum perduxit (Monte detto Avvocato fedelmente trattò questo affare e lo condusse a buon effetto).
Ego Ugo notarius scripsi et complevi”.
Sant’Elena sussiste ancora oggi nelle vicinanze di Iesi, nel comune di Serra San Quirico. La chiesa è aperta al culto e il vecchio convento ospita un centro per convegni e feste.

Paola Ircani Menichini, 23 ottobre 2020.
Tutti i diritti riservati.


Le foto del monastero di Sant’Elena provengono da Google Maps. I fotografi sono: Alfredo Luigi Zampieri (2020) – l’esterno in testata e l’interno nella pagina accanto – e Luigia Sisani (2019) – il capitello.
Nella mappa satellitare Google il monastero è segnalato dall’indicatore rosso.

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